Sgomento, sconcerto, disorientamento, le prime parole che vengono in mente per descrivere lo stato d’animo correlato a fatti di cronaca come quello di Lecco di qualche giorno fa. Sconcerto per un atto innaturale, perchè la morte arriva per mano di chi la vita dovrebbe donarla e non toglierla, sgomento perchè ci troviamo di fronte a un concetto di madre che stride con quello di madre accudente e protettiva dell’immaginario collettivo. Eppure succede!

 

Il 25% degli omicidi avviene all’interno della famiglia ed il 17% è un caso di figlicidio.

L’assassinio della prole prende il nome in base all’età del bambino che viene assassinato: neonaticidio, se il bambino non supera le 24 ore di vita, infanticidio, se ha al massimo un anno di vita. Figlicidio quando si uccide un figlio dopo il suo anno di vita.

 

Può cambiare qualcosa nella testa e nell’animo di una madre che attenta alla vita del proprio figli in base all’età?

Quello che fa la differenza è il legame affettivo. Dall’anno in poi la dinamica tipica di accudimento/attaccamento che caratterizza la relazione madre/bambino inizia a crescere e diventa salda.

 

Madri “folli” allora?

Sembrerebbe di no. Nella maggioranza dei casi, solo una madre su tre ha una diagnosi di disturbi psichiatrici, quindi eccezioni. Il profilo tipo è  in genere si tratta di madri giovani, con un’età media di 36 anni, un livello culturale medio-basso , in solitudine, prive di un legame familiare solido, spesso abbandonate dal compagno, che come nel caso di Lecce si sta rifacendo una vita, , vittime di forti stress prolungti e di sintomi depressivi.

 

La letteratura e le ricerche delineano alcune tipologie di madri assassine:

  1. Madri Violente: ossia madri che fanno del’abuso fisico dei propri figli una consuetudine, mettendo in atto maltrattamenti ripetuti, madri che diventano la loro rabbia e agiscono un impulso  violento ed  incontrollabile anche per uno stimolo banale come  il bambino che piange o che urla,  uccidendo il proprio figlio percuotendolo con un oggetto contundente, accoltellandolo o gettandolo dalla finestra. Questa categoria di madri spesso abusa di sostanze,  eroina o cocaina, che giocano un’azione determinanate nel favorire l’infanticidio, sia durante la fase di astinenza, ma anche durante  l’assunzione stessa, che genera i cosidetti stati alterati di coscienza talvolta  slatentizzando dei sintomi psicotici
  2. Madri ossessive: ossia madri che non sono in grado di fornire un accudimento adeguato ai loro figli, agiscono condotte di alimentazione inadeguata o non sufficiente,  non curanti dei sintomi di malattie (il bambino muore in apparenza per un  “incidente” , cade dalla terrazza, soffoca nella culla, si ustiona…). Madri perlopiù giovani che non sono in grado per ignoranza, incapacità, insicurezza di affrontare il loro ruolo di madre e non riescono ad entrare nel naturale sistema di attaccamento/accudimento.
  3. Madri vendicative: ossia quella madri che soffrono della cosiddetta Sindrome di Medea,  nota tragedia di Euripide, in cui la protagonista uccide i figli avuti da Giasone fuori dal matrimonio quando lui sta per sposare Glauce e vuole sottrarglieli. L’odio che queste donne provano per il loro ex-partner supera l’amore per i figli, così li uccidono  per vendicarsi magari per un abbandono.
  4. Madri con tendenze suicide: ossai quelle madri  che vorrebbero uccidere loro stesse ed invece uccidono i loro figli.
  5. Madri vittime di violenza:  cioè vittime a loro volta di violenze, maltrattamenti, umiliazioni da parte delle loro cattive madri, e per questo non in grado di sviluppare una buona identità materna. Il loro conflitto si divide tra il desiderio  di essere delle buone madri e i loro comportamenti che tenderanno invece a ripetere quelli delle loro cattive madri . E’ come se queste donne si muovessero tra due poli:  da un lato è come se  si identificassero con l’aggressore e quindi tendessero a  ripetere sui propri figli gli stessi errori delle loro madri, talvolta fino all’omicidio; dall’altro è come se  mettessero in  atto uno  spostamento, pertanto attraverso l’omicidio  del proprio figlio è come se  uccidessero la propria “madre violenta”.

Essere madri è un dono meraviglioso che regala emozioni intensamente appaganti, ma richiede anche impegno e fatica.

Affinchè una madre possa svolgere al meglio quella che potremmo definire una “funzione naturale”, occorre che il contesto in cui è cresciuta e in cui vive sia in grado di garantirle certi standard. Questo non significa  creare qualche tipo di giustificazione, ma cercare di capire ciò che alla ratio umana sembra impossibile, in quanto contro natura. E’ proprio a questo proposito che se prendiamo in considerazione la storia evolutiva degli esseri umani e non solo, vediamo che per allevare la prole “con successo” occorrono le figure genitoriali necessarie sono due: la coppia e con la sua vicinanza ai cuccioli è una conditio imprescindibile al fine di garantirne la sopravvivenza. Persino gli uccelli formano copia stabile, in quanto evoluzionisticamente più vantaggioso. Ci sono poi storie crudeli nel mondo animale che ci parlano dei più turpi assassini della prole, ma l’essere umano è “programmato” affinchè questo non succeda.

 

Tralasciando i disturbi psichiatrici, nelle categorie sopra indicate emerge che l’isolamento e la storia di attaccamento con la propria madre, sono due variabili particolarmente incisive.

 

Forse ora qualcosa in più è chiaro, ma lo sgomento quello resta…